LA LEGGE 40 E LA LEGGE 194: I PALETTI

Ringrazio gli organizzatori di questo incontro per l’invito, che mi dà l’opportunità di incontrare tutti voi; di incontrare tanti amici, di confrontarci su temi di fondamentale importanza per il futuro del genere umano; di rinnovare il nostro impegno e di rivisitarne le motivazioni, rinvigorendo la nostra speranza che la verità - nonostante le apparenze - trionferà.
Pensando al titolo di questo intervento, ho chiesto ai miei figli di prepararmi una presentazione animata in cui ci fossero dei paletti di gomma piuma che si spostassero con facilità, ma non sono stato soddisfatto in questa cosa... Mentre ascoltavo le relazioni precedenti ho pensato che forse avrebbero dato meglio l’idea dei paletti virtuali, dei paletti di luce, togliendo alla luce quel significato di energia vitale che essa ha e lasciando a questi paletti di luce l’evanescenza, cioè la possibilità di passare, entrare e uscire con facilità, come se non esistessero. Perché in effetti, come già abbiamo avuto modo di ascoltare dai Relatori che mi hanno preceduto, questi paletti per lo più sono fittizi, sono declamati ma non reali.
L’unico punto che penso possa essere significativo di questa legge è quella piccola frase contenuta nell’art. 1: “Al fine di favorire la soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità o dalla infertilità umana è consentito il ricorso alla procreazione medicalmente assistita, alle condizioni e secondo le modalità previste dalla presente legge, che assicura i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito”.

Perché ritengo di fondamentale importanza questa parola? Perché è la prima volta, e l’unica volta, in cui in una legge dello Stato è nominato il concepito. Non si parla di zigote, non si parla di embrione o pre-embrione, ma si parla di concepito. E durante la campagna referendaria abbiamo visto molto bene come l’attenzione è stata concentrata proprio sul primo istante. Noi siamo stati chiarissimi, il prof. Serra ha fatto vedere le foto, ci sono anche quelle altre a colori, molto belle, che ci fanno vedere il momento della fertilizzazione come l’inizio della vita umana .
Vedere scritto questo termine in una legge che riguarda la fecondazione in vitro toglie il campo a qualsiasi equivoco: quando parliamo di fecondazione in vitro, infatti, parliamo della vita umana nei primi tre giorni della sua esistenza! Quindi non si può dire ‘quindici’, ‘sette’, o altro: stiamo parlando del concepito. Il concepito è colui che nasce dall’incontro tra una cellula-uovo matura e uno spermatozoo maturo che penetra in essa. Nel momento in cui penetra, nel momento della fertilizzazione, inizia una nuova avventura, che se nessuno la ostacola continuerà la sua esistenza fino alla nascita, e fino all’eternità per chi crede. Questo – secondo me - è l’unico fondamentale contributo che la legge 40 ha dato!

E da quello che abbiamo visto, nella sentenza fatta qualche giorno fa dalla Corte Costituzionale, sembra che regga ancora questo punto. Il fatto che una legge dello Stato assicuri i diritti del concepito è importante perché può essere utilizzato anche per altre situazioni particolari. È stato citato prima il discorso della pillola del giorno dopo, ma anche la contraccezione abortiva potrebbe essere rivisitata alla luce di questo articolo 1 della legge 40. L’invenzione del “pre-embrione” era necessaria proprio a queste tecniche, che agiscono nelle primissime fasi di sviluppo, per permettere a ricercatori e medici di agire liberamente e senza alcun vincolo di legge. Il termine concepito risolve l’equivoco presente nell’art. 1 della legge 194, dove si parla di “tutela della vita umana dal suo inizio”. Inizio è un termine indefinito. E tutto ciò che è indefinito nella legge non acquista nessuna importanza. Qui invece abbiamo un punto fermo, il concepito: per la prima volta nella legislazione italiana il concepito ha gli stessi diritti degli altri esseri umani; ha diritti suoi propri! Perciò dico con convinzione che il comma 1 dell’art. 1 è l’unica cosa positiva che ha questa legge 40.
Perché per il resto, lo vedremo, abbiamo dei paletti fittizi. Al comma 2 dello stesso articolo 1 leggiamo: ” è consentito il ricorso alla procreazione medicalmente assistita qualora non vi fossero altri metodi terapeutici efficaci per rimuovere le cause di sterilità o infertilità.”; nel cap. 2 l’ art. 4, che norma l’accesso alle tecniche, recita “Il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita è consentito solo quando sia accertata l'impossibilità di rimuovere altrimenti le cause impeditive della procreazione ed è comunque circoscritto ai casi di sterilità o di infertilità inspiegate documentate da atto medico nonché ai casi di sterilità o di infertilità da causa accertata e certificata da atto medico”.
Se andiamo a leggere nelle Linee Guida contenenti le indicazioni delle Procedure e delle Tecniche di Procreazione Medicalmente Assistita, previste dall’art. 7 della legge 40/2004, in che modo deve essere accertata e documentata “l’impossibilità di rimuovere altrimenti le cause impeditive …..” e la sterilità od infertilità inspiegate od accertate, ci rendiamo conto che questa documentazione è banale: un semplice certificato e basta! Non è richiesto di allegare nè la documentazione degli esami di laboratorio, endocrini, ecografici, radiologici, laparoscopici,… fatti, né la documentazione dettagliata delle terapie pregresse effettuate senza successo. Un semplice sguardo alla bozza di scheda clinica allegata alle Linee Guida, qui a fianco riprodotta, ci fa comprendere quanto semplice e molto facile sia l’accesso alle tecniche di fecondazione artificiale alle coppie che lo desiderino nonostante le declamazioni del comma 2 dell’art. 1 e dell’art. 4 della legge 40/2004 !

Le linee-guida in che modo ci aiutano a vedere se davvero c’è una indicazione all’accesso alla fecondazione in vitro? Per le Linee guida basta un’accurata anamnesi, un esame obiettivo, ecc. quindi non è richiesto niente di documentato e di documentabile perché ci sia la garanzia che l’indicazione all’accesso alla fivet sia vera, reale, e non fittizia. Chi può fare i certificati?

Il primo certificato di infertilità lo può fare un medico abilitato alla professione, uno qualsiasi; anche un neolaureato potrebbe farlo: non è richiesta alcuna competenza specifica! Il certificato per l’accesso alle tecniche di riproduzione assistita va fatto invece dagli specialisti di un centro (può essere lo stesso centro, che farà la fivet, che ha tutto l’interesse per fare l’intervento), da un ginecologo per la donna, da un andrologo o da un urologo con competenza andrologica per l’uomo. Se invece viene negato il ricorso alla fivet, ci deve essere la certificazione dello specialista che deve essere verificata dal responsabile del centro. E’ curioso ed interessante il fatto che la negazione dell’accesso alla pma va verificata , mentre l’indicazione all’accesso no!


Fermiamoci un attimo a riflettere su questo punto: l’accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita, perché è un passaggio molto importante! Più persone, più coppie accedono alla fecondazione in vitro, più grande diventa il numero delle vittime, dei concepiti che vengono esposti a morte sicura. Un attento e rigorosamente documentato controllo dei requisiti per l’accesso alla pma doveva essere come il collo della bottiglia per restringere al minimo il ricorso alla fecondazione in vitro. Un legislatore saggio, che voleva limitare i danni, che voleva tutelare veramente le persone del comma 1, compreso il concepito, doveva restringere il numero degli accessi alla fecondazione in vitro, ai casi veramente irrisolti, e prevedere controlli rigorosi per verificare se erano davvero irrisolti. Quindi ci volevano dei criteri oggettivi documentati e controllati per ridurre il numero degli accessi alla pma. Invece questo non è stato fatto, perché probabilmente chi ha fatto questa legge, come chi ha fatto la legge 194, ha declamato le buone intenzioni, però ha nascosto le insidie vere della legge, e le volontà vere che sottostanno a una legge sull’aborto e sulla fecondazione in vitro, che sono quelle di permettere l’accesso a queste tecniche a chi lo vuole.

Ognuno sceglie quello che vuole fare, e la legge lo consente.

Una cosa molto grave, che pure è stata accennata stamattina, é la gratuità dello  accesso alla fecondazione in vitro, che ha moltiplicato il numero delle coppie che la fanno. Non è una cosa nuova. Nel 1998, quando per la prima volta se ne è parlato nei Consigli Direttivi del Movimento per la Vita, ho fatto una richiesta esplicita, cioè di suggerire ai Parlamentari sensibili alla difesa del diritto alla vita dei concepiti di scrivere nell’art. 1 di una eventuale proposta di legge sulla fecondazione artificiale che le tecniche di fecondazione in vitro non rientrano tra le prestazioni erogabili dal Sistema Sanitario Nazionale. In quell’occasione (sono dovuto andare via perché c’era il terremoto a Foligno) l’allora presidente del MpV di Firenze, anche lui medico, si era preso l’impegno di riportare questa mia richiesta nel documento che il Consiglio Direttivo del MpV stava elaborando, ma la mia richiesta non è mai comparsa né in quel documento né in successivi sussidi editi a cura del MpV Italiano. Questa richiesta è stata da me scritta su articoli che hanno letto anche alcuni deputati che facevano parte del gruppo delle Brigidine, è stata riproposta in ogni discussione che è stata fatta sulla fecondazione in vitro, ma tutti erano sordi, nessuno aveva voglia di cogliere questo concetto, che era un concetto che restringeva notevolmente il numero delle coppie che fanno ricorso alla fiv, perché non tutti hanno 6000, 9000 euro per pagare un tentativo di fecondazione in vitro!

Quindi, se l’obiettivo è quello di limitare i danni, di ridurre il numero delle vittime della fecondazione in vitro, bastava questa piccola accortezza, che sarebbe stata accettata e utile in un momento di contingenza per la sanità, per ridurre spese inutili, perchè nessuno pagherebbe un intervento che abbia un’efficacia del 10 – 15 % - e non capisco come l’ appropriatezza delle cure – molto spesso declamata ed invocata - in questo caso non sia stata tenuta in considerazione.

I LEA escludono le tipologie di assistenza, servizi e prestazioni sanitarie che:

 • non rispondono a necessità assistenziali tutelate in base ai principi ispiratori del SSN

• non soddisfano il principio della efficacia e della appropriatezza, ovvero la cui efficacia non è dimostrata in base alle evidenze scientifiche disponibili o sono utilizzati per soggetti le cui condizioni cliniche non rispondono alle indicazioni raccomandate

Un’efficacia della fivet – ritenuta da Clinical Evidence “di utilità non determinata” - inferiore al 20 % non può far ritenere appropriata questa tecnica di riproduzione umana. Eppure questa viene erogata dal Sistema Sanitario Nazionale, mentre molti siamo costretti a pagare interamente farmaci con efficacia riconosciuta maggiore, che servono a curare malattie e non a soddisfare desideri sia pure legittimi!

E noi paghiamo tecniche che espongono a morte certa un grandissimo numero di concepiti con il beneplacito di chi ha fatto il consulente ai parlamentari cattolici che hanno fatto questa legge, che non ha tenuto in alcuna considerazione ciò gli era stato detto nel Consiglio Direttivo del MpV Italiano, e che era stato richiesto esplicitamente e per scritto più volte: escludere dalle prestazioni erogabili dal Sistema Sanitario Nazionale le prestazioni di fecondazione in vitro.
L’evanescenza dei controlli e la gratuità fa sì che molti accedono direttamente alla fivet senza che ci siano veri motivi per accedervi. Io ho incontrato e seguito donne che prima hanno fatto una o più fivet senza successo e che successivamente hanno avuto una gravidanza spontaneamente o dopo alcune informazioni sulla fertilità della donna o dopo terapie mediche ed hanno partorito felicemente il figlio tanto desiderato.

 Le Linee guida trattano poi della Gradualità delle Tecniche (ai sensi del comma 2, punto a dell’art. 4) “Spetta al medico, secondo scienza e coscienza, definire la gradualità delle tecniche tenendo conto dell’età della donna, delle problematiche specifiche e dei rischi inerenti le singole tecniche, sia per la donna che per il concepito, del tempo di ricerca della gravidanza e della specifica patologia diagnosticata nella coppia nel rispetto dei principi etici della coppia stessa ed in osservanza al dettato della legge” suddividendo le tecniche in 3 livelli tenendo conto della loro complessità ed invasività.

Alla descrizione accurata di tutte le tecniche non è affiancato un criterio oggettivo per scegliere un livello piuttosto che uno più impegnativo, ma è lasciato tutto alla scienza e coscienza del medico, che tiene conto dell’età della donna, delle problematiche specifiche e dei rischi inerenti alle singole tecniche. Ma dei rischi se ne tiene sempre veramente conto? !
Il comma 3 dell’art. 7 della legge 40 stabilisce l’aggiornamento periodico – almeno ogni tre anni – delle linee guida. E’ importante ed utile che ci sia questo aggiornamento se noi abbiamo la capacità di incidere sia sulla composizione che sull’impegno e la determinazione dei componenti di questa commissione. Altrimenti si possono avere danni maggiori. Non basta essere cattedratico di una università cattolica o di un ospedale gestito da sacerdoti per essere un garante dei diritti di tutti i soggetti coinvolti compreso il concepito all’interno di una commissione, ma bisogna avere la disponibilità ed il coraggio di essere sempre fedeli – pagando, se necessario, di persona - all’uomo e di battersi strenuamente per la difesa della sua dignità e della vita di ogni concepito . Quindi i politici che hanno a cuore la difesa della vita dovrebbero scegliere i membri di loro spettanza della commissione in base a questi criteri, non solo dei titoli accademici e delle sedi di provenienza.


Quali sono i requisiti che devono avere le coppie che accedono alla fivet?

Devono essere maggiorenni di sesso diverso, coniugati o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi (art. 5). Stamattina è stata fatta una discussione sull’età potenzialmente fertile: le donne che si osservano sanno quando e se hanno l’ovulazione o no; tutte le donne sanno se hanno la mestruazione o no per cui il punto di riferimento per la ginecologia è la menopausa, cioè l’ultima mestruazione avuta dalla donna; quella segna la fine dell’età potenzialmente fertile e varia da donna a donna. Ci sono donne che vanno in menopausa a 38 anni, altre a 54; donne che restano gravide a 45 anni, altre a 50; quindi non si può stabilire una età precisa, ma c’è un punto fermo: se la donna è in menopausa, non può essere sottoposta a tecniche di stimolazione e induzione dell’ovulazione. Un residuo di follicoli oofori c’è sempre nell’ovaio, anche in menopausa, e con l’ecografia ce ne accorgiamo: ogni tanto capita di fare un’ecografia ad una donna di 60 anni e vedere un follicolo che matura. Quindi, per età potenzialmente fertile il legislatore intendeva questo: finché la donna non è andata in menopausa.

Entrambi viventi: questi sono già dei criteri che limitano gli eccessi.

 L’art. 5 cercherebbe di evitare alcuni abusi del ricorso alla fecondazione in vitro; invece, come è già stato detto, si sono chiuse le porte, ma aperte le finestre, per cui in modo diverso si può aggirare questo divieto ed entrare in modo occulto.

È vietato il ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo (art. 4 comma 3). Sia la legge che le linee-guida non offrono elementi sufficienti a garantire quanto affermato in questo comma: i requisiti previsti dal comma 3, che richiama quelle precedenti, vengono accertati dal medico che raccoglie l’autocertificazione dello stato di matrimonio o di convivenza della coppia. Quindi non c’è un criterio oggettivo, né potremmo invocarlo, perché altrimenti faremmo il gioco di quelli che vogliono i registri delle convivenze. Però c’è una grande indeterminatezza: la convivenza in sé non ha nessuna regola fissa, a meno che i due non abbiano la stessa residenza, e questo dato è verificabile, per cui il legislatore accorto poteva dire: l’autocertificazione di convivenza della coppia nella stessa residenza da almeno due anni. Questo sarebbe un criterio più oggettivo e facilmente verificabile, che permette di accertare se la convivenza è vera e non strumentale ai fini di una fivet cripto eterologa. Forse nell’aggiornamento periodico delle linee-guida del 2007 si potrebbe aggiungere “…….l’autocertificazione dello stato di matrimonio o di convivenza della coppia” la frase “nella stessa residenza da almeno due anni”.


Al Capo VI troviamo le Misure di Tutela dell’Embrione e nell’art. 13 leggiamo: ”è vietata qualsiasi sperimentazione su ciascun embrione umano. La ricerca clinica deve avere esclusivamente finalità terapeutiche, diagnostiche, ad essa collegate, volte alla tutela della salute e dello sviluppo dell’embrione stesso, e qualora non siano disponibili metodologie alternative.”

Chiaramente dovrebbe trattarsi di malattie che possono giovarsi di una terapia esistente per lo stesso embrione, e che non si possono diagnosticare diversamente. Per esempio, per alcune malattie metaboliche la diagnosi si può fare anche più tardi, non è necessario farla pre-impianto col rischio di danneggiare gravemente l’embrione, la facciamo più avanti in tempo per poter somministrare l’enzima che gli manca ed evitare al bambino qualsiasi danno.
Quindi, allo stato attuale la diagnosi pre-natale ai fini della terapia dello stesso embrione non è attuabile, perché non ci sono malattie che si possano curare facendo una diagnosi precocissima pre-impianto. L’unica cosa che si può fare è l’eliminazione dell’embrione se risulta non conforme ai desideri, oppure malato.

L’art. 13 continua: “sono comunque vietati la produzione di embrioni umani ai fini di ricerca o sperimentazione, ogni forma di selezione a scopo eugenetico degli embrioni o dei gameti, ovvero interventi di manipolazione diretti ad alterare il patrimonio genetico dell’embrione o del gamete o per predeterminare caratteristiche genetiche, ad eccezione di quelle che hanno finalità terapeutiche.” Quindi è importante che ogni forma di sperimentazione è vietata da questa legge.
È chiaro che – come si diceva stamattina- in quei tre, quattro giorni in cui gli embrioni stanno in laboratorio sono affidati all’onestà ed alla retta coscienza degli operatori sanitari! Vogliamo pensare e sperare che siano tutti onesti e in buona fede, perchè se mettiamo in dubbio questo i divieti della legge servono poco o niente. In qualsiasi campo della medicina, se noi pensiamo di avere a che fare con professionisti poco onesti, dovremmo stare bene alla larga da loro.
Per la legge 40 le sperimentazioni sono vietate. Il problema sono i controlli: come si fanno, se si fanno; c’è qualche controllo a sorpresa, sono previsti o no?.

L’art. 13 comma 3b vieta la selezione eugenetica: questo è importante tenerlo presente. Anche nella legge 194 la selezione eugenetica è vietata. Però la selezione eugenetica viene ugualmente fatta interrompendo la gravidanza dopo il terzo mese per il grave pericolo per la salute psichica della donna determinato dalla notizia di avere in grembo un feto con anomalie cromosomiche o malformato.

Forse sarebbe opportuno chiedere una verifica sulla veridicità delle certificazioni per gli aborti tardivi, che vengono fatti per gravi rischi della salute psichica della donna. Sarebbe interessante conoscere quali malattie si sono manifestate, quanti farmaci hanno preso, quante psicoterapie hanno fatto queste donne.

 Se un’indagine conoscitiva confermasse che la certificazione fosse solo funzionale alla possibilità di abortire dopo il terzo mese ci troveremmo di fronte ad una violazione piena della legge..

Chiaramente, se una donna ha un grave rischio per la salute psichica e si porta addosso un aborto, ce l’avrà qualche problemino dopo l’aborto …! Noi sappiamo che esiste la sindrome post abortiva, cui queste sfortunate donne possono andare incontro dopo l’aborto volontario, se invece questo non emerge da nessuna documentazione clinica, bisogna vedere quanto c’era di vero nella certificazione fatta. Noi qui dovremmo concentrare la nostra attenzione, perché di fatto noi abbiamo accettato l’aborto eugenetico, non sottolineando mai questi rischi di abuso e non andando mai a chiedere una indagine conoscitiva su questi aborti tardivi: per quali motivi sono stati fatti, chi ha fatto la certificazione, chi l’ha controllata, e vedere se è il caso di richiedere una correzione in tal senso, perché altrimenti la mentalità eugenetica entra nella coscienza di tutti, anche perché viene proposta esplicitamente sui siti di diversi colleghi
Questo è il rischio più grosso che abbiamo oggi anche in ambito religioso! La domanda: “se il bambino è malformato, che male c’è ad abortire: Evitiamo a lui la sofferenza ?”, che più volte ci capita di sentire, sintetizza questa strisciante mentalità che serpeggia anche tra persone che frequentano la parrocchia e la Messa domenicale. Mentalità, che viene alimentata e sostenuta dalla facilità al ricorso all’aborto criptoeugenetico, mentre nella legge 194/1978 e nella legge 40/2004 è ribadito che non è ammessa a scopo eugenetico alcuna forma di selezione!


L’art. 13 comma 3c e 3d vieta gli interventi di clonazione e la fecondazione di un gamete umano con un gamete di specie diversa.

Sembrano cose dell’altro mondo, ma non lo sono, perché in altri stati vicini sono permessi, come è permessa la diagnosi genetica pre-impianto e l’aborto eugenetico per stupidaggini. Solo in Inghilterra per rischio di malattie, tipo la poliposi intestinale o la predisposizione al cancro alla mammella. Ricordate come pure Veronesi, in un convegno di ginecologi, l’aveva proposta per l’Italia questa fesseria. Quindi questi divieti sono importanti, devono essere ben chiari a tutti e vanno mantenuti.


“È vietata la crioconservazione e la soppressione degli embrioni, fermo restando quanto previsto dalla legge 22 maggio 1978, n. 194” (art. 14 comma 1). E qui abbiamo la prima manifesta smentita della declamazione del principio. Qui si dice chiaramente: è vietata la soppressione, fermo restando quello che dice la legge 194. cioè, uno non può sopprimerli in virtù della legge 40, però può far ricorso alla legge 194 durante la prosecuzione della gravidanza. Agli esperti in diritto chiedo: era necessario questo richiamo? Se non ci fosse questa frase, sarebbe stato vietato a queste donne ricorrere alla 194? O è un riconoscere apertamente e riaffermare che la legge sulla fecondazione in vitro è strettamente connessa con la legge sull’ interruzione volontaria della gravidanza: senza un aborto volontario libero non ci può essere possibilità di fare la fecondazione in vitro?

Entrambi le leggi obbediscono alla stessa logica utilitaristica ed irrispettosa della dignità e della vita dei concepiti ! Tale richiamo serviva anche per riaffermare che, nonostante sia stato riconosciuto il diritto del concepito, la legge 194 impera ancora e spetta alla donna determinare il futuro dei propri figli.

La crioconservazione è ammessa in quei casi eccezionali in cui si determinano situazioni particolari gravi per la salute della donna, che indicano che è bene rinviare il trasferimento in utero. Ma poi c’è un altro punto, perchè se la donna non vuole impiantare il proprio figlio dentro l’utero, nessuno la può costringere, quindi ci possono essere queste situazioni particolari, ma ci possono essere anche situazioni di ripensamento per cui la donna dice: io non me la sento, non lo voglio impiantare. E nessuno la può obbligare a farlo.

Il secondo comma limita il numero degli embrioni da produrre al massimo di tre. Già è stato detto che questa limitazione serve per contenere il numero delle vittime, ma già tre sono tante. Confrontando il numero degli embrioni trasferiti in utero con il numero dei sopravvissuti , i nati, vediamo che – quando la fivet ha buon fine - è quasi sempre la metà o un terzo il numero di quelli che sopravvivono. Alcuni studi hanno dimostrato che specialmente nell’età più giovane basterebbe un solo embrione trasferito e anche senza bisogno di stimolazione ovarica, cioè con ovulazione spontanea. Quindi dobbiamo chiederci se veramente il legislatore ha davanti a sè, mentre scrive queste cose, la salute della donna e dei bambini. Perchè se anche si preoccupasse della sola salute della donna, è chiaro che eviterebbe di farla esporre ad una iperstimolazione, - ci sono stati anche casi di morte di donne per questo – per non farle correre il rischio grave per la sua salute con le gestosi precoci e tutte le altre patologie che ci sono nelle gravidanze plurime; evitando così anche di triplicare il numero delle vittime della fecondazione in vitro.

 Quindi se ci fosse veramente attenzione ai soggetti tutelati, questa norma è già troppo larga, perché in molte situazioni la prudenza del medico dovrebbe indurre a limitare a uno o al massimo due gli embrioni da fecondare, e poi cercare di limitare che possano verificarsi le gravidanze plurime proprio trasferendo meno embrioni nell’utero, perché una volta che li trasferisce è chiaro che espone la donna ai rischi che la donna dovrebbe già ben conoscere, perché nel consenso informato c’è scritto tutto. Qual è il problema del consenso informato? Che le donne, le coppie sono talmente stordite, quando vengono a firmare il consenso informato, che non si rendono conto; rimangono talmente impressionati che o firmano o scappano. Però è tutto scritto, il consenso informato è dettagliatissimo, solo che ogni donna pensa e si augura che non toccherà mai a lei avere questi rischi. Ma “per cento” che significa? Significa che a qualcuno su quei cento deve toccare di avere quell’evento! 10% che significa? Significa che a dieci donne toccherà! Quindi quando una donna, una coppia è pressata dal desiderio impellente di avere un figlio, perde la piena lucidità e firma qualsiasi consenso pur di poter accedere a questa tecnica, che crede possa risolvere il suo problema.

 Il comma 4 dell’art. 14 ci dice un’altra bugia: “è vietata la riduzione embrionaria di gravidanze plurime, salvo i casi previsti dalla legge 22 maggio 1978, n. 194”. Già c’era: prima della legge 40 facevano questo, dopo la legge 40 continuano a farlo; perché c’è questo richiamo esplicito alla legge 194 che lo permette ?

 Il comma 5 dello stesso articolo 14 dice che i soggetti che si sottopongono alla fertilizzazione in vitro sono informati sullo stato di salute degli embrioni prodotti da trasferire in utero. Che significa? Che c’è un’osservazione di queste uova fecondate, e se i medici si accorgono che non sono proprio perfette lo devono dire alla coppia e la coppia può decidere se impiantarle o no ? Perchè tutti i tipi di diagnosi prenatale sono proibiti tranne quella dell’osservazione diretta. Allora se la coppia decide di non impiantarli, questi embrioni vengono lasciati morire naturalmente, non vengono neanche crioconservati.
Dicevo prima che la Corte Costituzionale ha riaffermato il principio del diritto del concepito alla vita, e l’aveva già affermato in occasione dei referendum, respingendo il referendum che chiedeva l’abolizione totale della legge 40. Ma è significativo che anche l’Avvocatura dello Stato, nella memoria consegnata alla Corte Costituzionale, ha scritto che ha difeso la legge 40 perché è la più idonea a bilanciare interessi contrapposti, tenuto conto che non esiste e non ha fondamento giuridico la pretesa di avere un figlio sano, e che pertanto non può assumere alcuna rilevanza l’elemento attinente all’equilibrio psicofisico della donna. Se ci fosse un seguito a queste affermazioni, anche nella legge 194 non sarebbe una cosa di poco conto.

Un breve cenno all’art. 16 sull’obiezione di coscienza “ Il personale sanitario ed esercente le attività sanitarie ausiliarie non è tenuto a prendere parte alle procedure per l'applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita disciplinate dalla presente legge quando sollevi obiezione di coscienza con preventiva dichiarazione. La dichiarazione dell'obiettore deve essere comunicata entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge al direttore dell'azienda unità sanitaria locale o dell'azienda ospedaliera, nel caso di personale dipendente, al direttore sanitario, nel caso di personale dipendente da strutture private autorizzate o accreditate” .

Già se n’è parlato prima: prevedere la possibilità dell’obiezione di coscienza significa riconoscere che le tecniche di fecondazione in vitro pongono l’operatore sanitario in situazioni che contrastano con la sua coscienza personale e professionale a motivo dell’altissimo costo in vite umane destinate a morte certa e dei rischi per la salute della donne che sono ad esse connesse.

Prima di concludere voglio leggervi una sentenza di un giudice tutelare, che nega la possibilità ad una ragazza di accedere all’aborto, dicendo “Nell’interpretazione del suddetto art. 12 il potere del G.T. non può prescindere dalla maturità e consapevolezza che la minore dimostra nel comprendere le conseguenze delle proprie scelte, né dalle ragioni addotte per giustificare la richiesta di interruzione della gravidanza, ragioni che debbono essere astrattamente idonee a giustificare l’interruzione della vita fetale.

Orbene nel caso di specie R. ha dimostrato una assoluta carenza di maturità ed un elevato grado di incosciente insensibilità rispetto alla soluzione abortiva richiesta: l’interruzione di gravidanza nulla altro è ai suoi occhi se non lo strumento più comodo per evitare la fatica di un secondo figlio a poca distanza dalla prima. Le dichiarazioni rese a questo G.T. appaiono a dir poco sconcertanti: “ abbiamo deciso di non portarla a termine perché la prima figlia ha solo nove mesi e ci sarebbe troppo da fare….. e che vita faccio io ……”.

Non può tacersi, da ultimo, che la legge 194/78 “Tutela della vita umana sin dal suo inizio” e che occorre responsabilmente evitare, a mente dell’art. 1, che l’aborto sia usato ai fini della limitazione delle nascite.”
Questa sentenza ci fa toccare con mano che la legge 194 potrebbe essere interpretata ed applicata anche in senso limitativo. L’esperienza di quasi 28 anni di applicazione della stessa ci dicono l’esatto contrario, perchè chi ha voluto la legge 194 l’ha voluta per limitare il numero delle nascite. Anche se nell’art. 1 hanno declamato l’opposto, la mentalità di chi ha voluto la 194 è quella!

Lo dimostrano pure i certificati e i rapporti Istat, che non chiedono di sapere quali sono le motivazioni, perchè basta dichiarare di avere un “serio” pericolo determinato da condizioni fisiche, ecc, per avere la possibilità di abortire nei primi 90 giorni! È chiaro che noi non dovremmo mai stancarci di denunciare queste falsità nell’applicazione della legge e chiedere una certificazione più adeguata a far conoscere le reali motivazioni che spingono ad abortire nei primi tre mesi.
Concludo ribadendo quello che ho detto all’inizio sulle linee-guida: se c’è la volontà dei politici sensibili alla difesa della vita dei concepiti ci può essere spazio per agire, scegliendo bene le persone da inserire nella nuova commissione, documentandosi bene sugli effetti delle linee-guida nei primi tre anni di applicazione, e tenendo conto delle osservazioni che in questa giornata sono state fatte. 

Angelo Francesco Filardo - relazione al Convegno organizzato da Federvita Piemonte, Torino 16 settembre 2006